Via libera della Cassazione all’adozione di un minore da parte di un single. E non rileva la differenza di età con il bambino e il grave handicap dello stesso. È quanto ha sancito la Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 17100/2019 respingendo il ricorso dei genitori di un bimbo di 8 anni affetto da un grave handicap fisico e da loro abbandonato nei primi mesi di vita.
La vicenda
Il piccolo, dopo che i genitori avevano perso la potestà, era stato affidato ad una donna di 62 anni che se ne era presa cura instaurando un ottimo rapporto col minore e chiedendone l’adozione.
I genitori avevano presentato richiesta di revoca della dichiarazione di decadenza dalla responsabilità genitoriale sul figlio minore che veniva rigettata sia in primo che in secondo grado.
Si rivolgevano quindi alla Suprema Corte denunciando che la corte d’appello non aveva tenuto conto della richiesta di rivalutare la loro posizione giuridica nonché la violazione e falsa applicazione della legge 184/83, laddove aveva ritenuto legittima l’adozione da parte di una donna single, con una differenza di età ben superiore a quella massima di 45 anni prevista dalla legge e senza tenere conto del dissenso dei genitori.
Adozione single: conta l’interesse del bambino
Ma i supremi giudici rispondono picche su tutta la linea, perché ciò che conta è l’interesse preminente del bambino. Infatti, precisano, che “l’art. 44 della legge n. 184 del 1983, lett. d), integra una clausola di chiusura del sistema, intesa a consentire l’adozione tutte le volte in cui è necessario salvaguardare la continuità affettiva ed educativa della relazione tra adottante e adottando (e non certo tra quest’ultimo ed i genitori naturali), come elemento caratterizzante del concreto interesse del minore a vedere riconosciuti i legami sviluppatisi con altri soggetti che se ne prendono cura”.
Essa presuppone “la constatata impossibilità di affidamento preadottivo, che deve essere intesa come impossibilità di diritto – come nel caso di mancato reperimento (o rifiuto) di aspiranti all’adozione legittimante – in quanto, a differenza dell’adozione piena, tale forma di adozione non presuppone necessariamente una situazione di abbandono dell’adottando (…) e può essere disposta allorché si accerti, in concreto, l’interesse del minore al riconoscimento di una relazione affettiva già instaurata e consolidata con chi se ne prende stabilmente cura”.
Irrilevante la differenza d’età
Inoltre, scrivono gli Ermellini, “la mancata specificazione di requisiti soggettivi di adottante ed adottando, come pure del limite massimo di differenza di età (prescrivendo la norma dell’art. 44, comma 4, esclusivamente che l’età dell’adottante deve superare di almeno diciotto anni quella dell’adottando) implica che l’accesso a tale forma di adozione non legittimante è consentito alle persone singole ed alle coppie di fatto, nei limiti di età suindicati e sempre che l’esame delle condizioni e dei requisiti imposti dalla legge, sia in astratto (l’impossibilità dell’affidamento preadottivo) che in concreto (l’indagine sull’interesse del minore), facciano ritenere sussistenti i presupposti per l’adozione speciale”.
Il dissenso non conta senza un rapporto effettivo
Per quanto concerne poi la mancanza di consenso dei genitori la stessa ha efficacia preclusiva, ricordano infine da piazza Cavour, laddove il genitore titolare della responsabilità genitoriale abbia altresì il concreto esercizio grazie ad un rapporto effettivo con il minore. Nel caso di specie, invece, la coppia era stata dichiarata decaduta dalla responsabilità
genitoriale proprio in quanto aveva abbandonato il figlio a pochi mesi dalla nascita e dalla Ctu espletata era risultata del tutto inadeguata al ruolo genitoriale in relazione a un bambino affetto da gravissime patologie.
Per contro, invece l’adottante, infermiera professionale pediatrica con la quale il piccolo ha vissuto si è rivelata ampiamente in grado di provvedere a tutte le necessità del minore con la collaborazione della figlia. Per cui il piccolo resta con la donna.